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L’età adulta e la crisi di mezza età: tra perdita e acquisizione

Lo sviluppo psichico non cessa con l’adolescenza ma prosegue, seppur in modo meno evidente, per tutto l’arco di vita. L’adulto, analogamente al bambino, ha una struttura psichica aperta al cambiamento e agli influssi ambientali, anche se tali cambiamenti sono meno rilevanti e sono, in rapporto a compiti e stimoli, molto diversi da quelli rilevanti per il bambino. Questa ristrutturazione (che interessa la percezione di Sè, l’identità, il mondo degli affetti, il modo di comprendere e di ragionare, lo stile di reazione e la condotta, la percezione) prosegue per tutta la durata della vita, ma ha momenti critici e fasi di accelerazione che sono determinati da eventi particolari. Si tratta di eventi che segnano delle “biforcazioni” nel percorso vitale, , o dei “punti di non ritorno”.

Questi eventi, che costituiscono le tappe dello sviluppo adulto, sono, per esempio, l’inizio del lavoro, la scelta della coppia e del matrimonio, la nascita di un figlio, la morte dei genitori, l’uscita di casa dei figli resisi ormai autonomi, il pensionamento. Ciascuno di questi passaggi trasformativi è allo stesso tempo un evento di perdita ma anche di acquisizione.

Come l’adolescenza si è rivelata un campo di battaglia a causa della ambivalenza tra la tensione a crescere nell’autonomia e il rimpianto per la perdita dell’infanzia così, di fronte ad ogni evento trasformativo, anche l’adulto tende a rivivere lo stesso dilemma e la stessa ambivalenza. In genere questo vissuto è meno drammatico e conflittuale che nell’adolescente, perchè la struttura psichica dell’adulto è più solida o perchè l’adulto ha difese più collaudate di quelle dell’adolescente.

[Canestrari, Godino. Trattato di Psicologia]

(Foto di Felix Mittermeier)

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Depressione e anedonia

Per una diagnosi di depressione devono essere presenti almeno 5 tra i sintomi elencati in figura1; di questi, uno deve essere UMORE DEPRESSO e RIDUZIONE DEGLI INTERESSI. Gli altri sintomi sono variabili, costituendo dei quadri che sono diversi da paziente a paziente. La qualità di vita risente degli episodi depressivi e, a volte, anche quando si sono risolti la maggior parte dei sintomi depressivi, rimane un difetto di qualità di vita (fig.2). l’obiettivo è dunque duplice: eliminare tutti i sintomi di depressione ma anche riportare il paziente ad una adeguata capacità di funzionamento e ad una buona qualità di vita (attraverso la psicoterapia).

Nella depressione è presente la cosiddetta ANEDONIA, correlata all’umore e che rappresenta l’incapacità di provare piacere; diverso è l’APPIATTIMENTO AFFETTIVO, dove il paziente è indifferente e incapace di provare sia emozioni positive, sia emozioni negative. In questi casi i pazienti depressi si raccontano come “anestetizzati”.Nella fig.3 è riportata la scala di SHAPS che, che tra gli altri strumenti, valuta il piacere chiedendo cose semplici e quotidiane ma aiutando a capire qual è la capacità di provare piacere del paziente.

(Andrea FagioliniProfessor of PsychiatryUniversity of Siena,Siena, Italy)

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Il disturbo dello spettro autistico

Quali sono i segni del disturbo dello spettro autistico? A che età si può avere una diagnosi? Qual è la causa dell’autismo? C’è una relazione tra vaccino e autismo? Esiste una cura?

Queste sono alcune delle domandi che più frequentemente si pongono i genitori; proviamo a fare chiarezza con l’aiuto di alcune indicazioni del Prof. Vicari (Neuropsichiatra infantile, dirige l’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma).

✔ Quali sono i segni dell’autismo?I segni dell’autismo riguardano una compromissione generalizzata, in particolare della comunicazione e dell’interazione sociale, dei comportamenti, interessi e attività che si manifestano in maniera ristretta, ripetitiva e stereotipata. Vi è una compromissione dell’attenzione condivisa (ovvero, quando si indica qualcosa con il dito e il bambino non segue l’indicazione e non partecipa al gioco). Si stima vi sia un caso ogni 59 bambini e che sia molto più frequente nei maschi, con un rapporto di 4:1

✔ A che età si può avere una diagnosi?Alcuni segni di rischio sono evidenti già dopo il primo anno di vita del bambino ma la diagnosi è certa a tre anni circa. Prima dei 3 anni possono esserci i comportamento di rischio ma non risultano essere stabili e alcuni bambini possono recuperare prima dei tre anni in modo molto importante. Dopo i tre anni, invece, il bambino tende ad assumere comportamenti cronici.

✔ Qual è la causa dell’autismo?Ci sono molti fattori che intervengono nella strutturazione del disturbo; fattori biologici/genetici a cui si sommano i fattori ambientali. L’aspetto legato alla genetica sembra essere molto rilevante poichè è stato dimostrato che nel 20/30% dei casi possono esserci microduplicazioni o microdelezioni che sono caratteristiche dello spettro autistico. (Si pensi anche che la probabilità che una coppia che ha già concepito un bambino con il disturbo dello spettro autistico, ha una percentuale del 18% di concepire un secondo figlio autistico). Nella figura 1 ci sono alcune delle cause che nel tempo sono state individuate (dal 1943 al 2016); tra queste ancora oggi sembrano fare la loro parte l’assunzione di farmaci durante la gravidanza , l’avanzata età paterna, il basso peso alla nascita (fattori che da soli NON sono sufficienti ma che possono concorrere, insieme ad altri).

✔ C’è una relazione tra vaccino e autismo?Alcuni genitori notano una regressione, nei comportamenti dei loro figli, in coincidenza con il periodo della vaccinazione; molti studi hanno dimostrato essere una coincidenza temporale poichè è proprio nel periodo delle vaccinazioni (in termini di età) che abbiamo visto manifestarsi i primi segni sospetti del disturbo dello spettro autistico. Le coincidenze temporali non sono coincidenze causali, ovvero non significa che un evento provochi l’altro.In particolare, uno studio del 2019 su una prestigiosa rivista (Annals of Internal Medicine, Fig.2), svolto su 50.000 bambini in Danimarca (seguiti per tre anni e suddivisi in due gruppi: uno con bambini vaccinati e uno con bambini non vaccinati) ha dimostrato che i bambini autistici vaccinati non erano in numero predominante.

✔ Esiste una cura?Esiste un trattamento intenso e costante che deve svolgersi non solo nel centro di riabilitazione, ma anche con insegnanti e genitori. Più precoce è l’intervento, maggiori sono le possibilità di importanti miglioramenti nella qualità di vita

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il trauma transgenerazionale: i traumi si possono ereditare?

Il trauma transgenerazionale è un trauma che si può trasmettere da genitore a figlio. Sembra incredibile ma alcune ricerche ci confermano tutto ciò. Ma come è possibile che un trauma vissuto da un genitore, molto tempo prima, possa lasciare tracce nel figlio?Proviamo a fare chiarezza. Innanzitutto non è “scontata”, né “automatica” la trasmissione del trauma; molte ricerche ancora oggi sono in corso e molte altre hanno dimostrato che non sempre questo avviene. Ad esempio, in uno studio di Sagi-Schwartz et al. del 2003, condotto in Israele su una popolazione di Sopravvissuti all’Olocausto, figli di sopravvissuti all’Olocausto e nipoti di sopravvissuti all’Olocausto, ha dimostrato come Il trauma non sembrava trasmettersi attraverso le generazioni. Un altro studio di Giladi e Bell del 2012,condotto nel Nord America su figli americani/canadesi di sopravvissuti all’olocausto e nipoti di sopravvissuti all’olocausto, al contrario, ha dimostrato come la prole e i nipoti dei sopravvissuti all’olocausto hanno riportato uno stress da trauma secondario significativamente più elevato rispetto al gruppo di controllo (coloro che non avevano genitori/nonni vittime dell’olocausto).Questo non avviene perché la scienza ha risposte contraddittorie, bensì perché la domanda non è tanto SE vi è traumatizzazione della prole (a seguito del trauma genitoriale) ma su QUALE prole e su COME questa è influenzata dal trauma genitoriale.In altre parole, la variabile AMBIENTE diventa fondamentaleLa teoria dell’apprendimento, infatti, ci ha spiegato già molto fa come alcuni atteggiamenti si apprendano nelle relazioni famigliari e ci ha aiutati quindi a capire cosa può vivere un figlio di genitori traumatizzati (comportamenti ansiosi, allert apparentemente inspiegabili, disturbi ossessivi ecc), un po’ come se ci fosse “un’educazione compromessa dal trauma”. È necessario considerare anche gli effetti della narrazione del trauma vissuto da genitori/nonni oppure il suo assoluto segreto e silenzio. Oltre questa variabile di ambiente/apprendimento, anche la genetica ha il suo ruolo. Molte ricerche hanno dimostrato che esistono anche dei “segni biologici” del trauma che possono essere quindi trasmessi ai figli. COME?Dobbiamo aprire una parentesi sull’epigenetica. Sappiamo che abbiamo in eredità dai nostri genitori il materiale genetico che ci caratterizza e che ci distingue da ogni altro individuo (ad esempio, il colore degli occhi ma anche la nostra predisposizione ad alcune malattie). Queste nostre caratteristiche uniche, vivono con noi in un ambiente specifico e con le nostre specifiche abitudini (mare, montagna, freddo o caldo, cibi che mangiamo ecc) e subiscono influenze e trasformazioni. Gli eventi che viviamo attivano/disattivano meccanismi che producono cambiamenti. L’epigenetica studia esattamente questo, come l’ambiente circostante influenza l’attività dei geni (cioè il nostro patrimonio genetico), senza che il nostro DNA subisca trasformazioni. COSA E’ SUCCESSO AI MIEI GENITORI/NONNI DI FRONTE AL TRAUMA?Il nostro asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene è deputato alla risposta allo stress poiché è vulnerabile all’ambiente. In presenza di un evento traumatico, l’asse produce in modo continuo ed alterato gli ormoni stereoidei (cosiddetti glucocorticoidi); alti livelli di questi ormoni, riducono il funzionamento di alcuni neuroni, producendo effetti negativi anche sul sistema immunitario e ne iperattivano altri (quelli dell’amigdala e del tronco encefalico). Il nostro asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene è tra i più colpiti dall’esposizione ad un evento traumaticoL’alterazione del cortisonolo, assieme ad altre alterazioni biologiche che appaiono di fronte ad un forte stress/evento traumatico,(Catecolamine, Serotonina ,GABA, Neuropeptide Y) porta a modifiche strutturali di varie aree cerebrali (come l’ippocampo o l’amigdala) che provocano a loro volta la cascata di sintomi tipici del PSTD (ipervigilanza, iperattivazione, associazioni di paura, flashback).È qui che l’ambiente circostante (situazione in cui si è vissuto il trauma) può portare a modificazioni strutturali nell’individuo. IL TRAUMA SI PUO’ TRAMANDARE?Le modificazioni strutturali si possono quindi tramandare. Gli studi hanno dimostrato che i figli di genitori con un disturbo post traumatico da stress cronico, presentano livelli di cortisolo più bassi rispetto alla media, pertanto sono più inclini a sviluppare un disuturbo post traumatico da stress in risposta ad un loro evento traumatico; livelli di cortisolo alterati, secondo alcuni, influiscono anche sui ritmi cronobiologici dell’individuo (ovvero i nostri ritmi nel corso della giornata, influenzati soprattutto dall’alternanza di luce/buio). Allo stato attuale la scienza non ha ancora dimostrato in modo conclusivo la trasmissione epigenetica degli effetti del trauma nell’uomo.Tuttavia, i risultati in modelli animali che implicano meccanismi epigenetici nella trasmissione degli effetti dello stress, fanno pensare alla possibilità che meccanismi simili possano operare negli esseri uman

i.#trauma#epigenetica#traumatransgenerazionale#biologia#psicologia#psicoterapia

(Giladi L, Bell TS. Protective factors for intergenerational transmission of trauma among second and third generation Holocaust survivors. Psychol Trauma. 2012;5(4):384–91) (Sagi-Schwartz A, Van Ijzendoorn MH, Grossmann KE, Joels T, Grossmann K, Scharf M, Koren-Karie N, Alkalay S. Attachment and traumatic stress in female Holocaust child survivors and their daughters. Am J Psychiatry. 2003;160(6):1086–92)

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DEPRESSIONE POST PARTUM PATERNA:ESISTE E NECESSITA DI ATTENZIONE

Spesso nella mia attività clinica mi sono state inviate in studio donne affette da depressione post-partum e, frequentemente, è capitato di rilevare anche una depressione paterna post parto.

Le ricerche concordano sulla maggiore vulnerabilità delle donne nel post parto, da 6 mesi fino ad un anno dalla nascita, con punte del 41% nei paesi a basso reddito. E’ un fenomeno che merita attenzione (soprattutto se consideriamo che circa il 50% delle depressioni materne post parto non arrivano alla diagnosi); tuttavia sono state svolte oltre 20.000 ricerche sul tema, contro qualche decina di quelle effettuate per indagare e comprendere la depressione paterna. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, 2003) ha sottolineato che la depressione si configura come la prima causa di psicopatologia per le donne di età compresa fra i 15 e i 44 anni e la terza causa per gli uomini della medesima fascia d’età.

Le ricerche più attuali hanno suggerito che la gravidanza e il parto innescano sintomi depressivi non solo nelle donne ma anche negli uomini. In Italia rilevante è stata la ricerca svolta da Currò e colleghi nel 2009 che ha effettuato la misurazione della depressione post parto su un campione di 499 padri e 1122 madri con la Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS) sottolineando il ruolo che il pediatra può svolgere nel riconoscere la depressione post partum all’interno della coppia effettuando lo screening non soltanto nei confronti della madre, ma anche nei confronti del padre con un semplice strumento Dalla ricerca è emerso che alla prima visita il 26,6% delle madri e il 12,6% dei padri ha riportato un alto punteggio all’EPDS mentre, alla seconda visita, il 19,0% delle madri e il 9,1% dei padri, ha riportato un risultato al test che segnalava il rischio della malattia depressiva. Pertanto la Depressione Paterna (PD) è comune nella popolazione media. Utilizzando un semplice strumento standardizzato come l’EPDS, i pediatri sono in grado di rilevare i genitori con più alto rischio di andare incontro a PD (depressione paterna).(Cicchiello S. “La depressione perinatale materna e paterna.Fattori di rischio, aspetti clinici e possibili interventi”. Rivista Psicoterapia in-formazione, anno 2015)

Auspichiamo in maggiori ricerche e nell’attenzione dei pediatri (e di altri professionisti che entrano in contatto con i neo genitori) sul disagio paterno, oltre a mantenere alta l’attenzione sulle madri. La depressione post parto paterna esiste ed ha bisogno di essere riconosciuta per il benessere del singolo, della coppia genitoriale e del bambino.

[immagine dal web]

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DOLORE CRONICO ED EMDR

Il dolore cronico e l‘EMDR.Secondo la International Association for the Study of Pain (IASP) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità il dolore è “un’esperienza sensoriale ed emozionale associata a un danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”.Il dolore dunque è composto da una parte percettiva, ovvero legata al ruolo del sistema nervoso centrale e degli stimoli potenzialmente nocivi, ed una esperienziale, ovvero del tutto soggettiva dove sono coinvolti processi emotivi, cognitivi e socio culturali.

Si può dunque intervenire con EMDR per trattare il dolore?

L‘emdr puo‘ essere inserito insieme all‘approccio farmacologico e va a lavorare sulla relazione che il soggetto ha con il dolore (considerando che le più recenti ricerche ci dicono che proprio il tipo di rapporto che abbiamo con il dolore, influenza l‘intensità del dolore stesso) o quando i medici non trovano una causa, oppure, infine, quando non reagisci ai trattamenti Il dolore fisico porta spesso a disagi psicologici: stress, difficoltà lavorative e relazionali, depressione, frustrazione, disturbo post traumatico da stress.In particolare l‘emdr potrà intervenire sulla parte cognitiva ed emotiva del dolore e, dunque, sulle suddette conseguenze psicologiche

In che modo? Come funziona?

Innanzitutto il terapeuta ripercorrerà con te la storia del tuo dolore (quando lo hai sentito per la prima volta, quali caratteristiche ha, quando si presenta, se è o meno associato ad un trauma, ad un incidente, ad un’operazione ecc); si individueranno insieme i pensieri e le emozioni che provi rispetto al dolore e anche le sensazioni fisiche associate al dolore. La neuropsicoendocrinoimmunologia ha dimostrato come il trauma attivi il sistema di risposta infiammatoria e sia spesso causa di alterazioni nel funzionamento di strutture neuroendocrine e del sistema nervoso centrale.Con la stimolazione bilaterale di EMDR si mira a riattivare e migliorare la connessione tra emisferi cerebrali, desensibilizzando le esperienze traumatiche e ristrutturando la dimensione cognitiva con il risultato di una riduzione dei sintomi (stress, disagio emotivo, frustrazione ecc)

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La psico-parola: #violenza domestica#

Per iniziare, vediamo alcuni numeri: secondo i dati dell’OMS, una donna su tre ha subito nel corso della vita una forma di violenza da parte di un uomo. Un #femminicidio su quattro e’ compiuto dal partner. In Italia sono 6 milioni e 788mila le donne che nel corso della propria vita hanno subito violenza fisica o sessuale da parte di un uomo. 9 volte su 10 non si arriva alla denuncia. Il 10,6% delle donne ha subito violenze sessuali prima dei 16 anni. (Fonte ISTAT, 2015)

Circa 14 mila sono le donne che ogni anno si rivolgono ai centri anti violenza italiani. Ogni tre giorni viene uccisa una donna.

Scommetto che almeno una volta nella tua vita ti sei sentita dire una di queste cose:

– ti tratta male perche’ vuole stuzzicarti, ovvio che gli piaci

– mangi tanto per essere una donna

– viaggi da sola? Ma non hai paura?

– datti una calmata! Scommetto che oggi hai le tue cose

– se ti vesti in modo provocante, poi non lamentarti se ti fischiano per strada

– continuerai a lavorare dopo il parto? Sei sicura di voler lasciare che qualcun altro cresca tuo figlio per pensare alla carriera?

– come mai non hai ancora pensato a un figlio? Guarda che l’orologio biologico si fa sentire

Questo e’ il contesto culturale in cui viviamo! E’ urgente lavorare fin dalle scuole dell’infanzia ad una cultura del #rispetto, alla risoluzione non violenta dei conflitti e all’identità’ di genere senza stereotipi.

Cosa intendiamo per #violenza domestica? Non intendiamo solo quella fisica ma anche quella #economica, #sessuale, #psicologica, #assistita (bambini che assistono alla violenza in famiglia), #stalking. La chiamiamo “domestica” proprio perche’ avviene DENTRO le mura domestiche, in famiglia, a casa.

Sei stata/sei vittima di violenza? Allora molto probabilmente non sarai stata subito creduta quando l’hai raccontato, poiché’ anche qui ci sono molti stereotipi. Ti sei sentita dire che sei fragile e dipendente? Oppure che se ti piaceva/piace quell’uomo violento, allora forse e’ proprio cio’ che desideri e che ti meriti. Oppure, ancora,puoi essere stata colpevolizzata per il tuo atteggiamento che istigava/istiga l’uomo con cui vivevi/vivi una relazione. Probabilmente, soprattutto quando hai pensato che la violenza non era stata “eclatante” ti sei chiesta se quella era “veramente” violenza e se tu sei stata vittima di violenza. Nel pensate comune infatti, spesso la violenza e’ associata all’aggressione fisica (pugni, calci, lividi, schiaffi ecc). Ecco, ricordiamo che per violenza fisica si intende anche cio’ che la persona violenta può’ fare non direttamente al tuo corpo, come ad esempio spaccare o lanciare oggetti.

Abbiamo accennato alla violenza psicologica, cosa intendiamo? Lui ha cercato di colpevolizzarti? Fa commenti svalutanti sul tuo corpo? E’ sarcastico verso i tuoi sentimenti? Controlla il modo in cui ti vesti? Hai tutta la responsabilità’ della gestione familiare? SI, questa puo’ essere #violenza psicologica. Sono due i meccanismi fondamentali alla base della violenza:

1) ridurre la donna ad un oggetto, con l’obiettivo di soddisfare i propri bisogni

2) controllare la donna e attaccarla ogni qual volta lei cerchi di “separarsi”, essere autonoma e indipendente psicologicamente (e non solo)

All’ inizio la tua relazione era idilliaca? Non ti aspettavi questo cambiamento nel tuo partner? Questa fase e’ quella che gli esperti chiamano #”luna di miele”; il tuo partner era gentile, premuroso, attento ai tuoi bisogni, romantico e questo ti ha portato a fidarti di lui. Ti sembrava che la casa e la vostra relazione fossero un posto sicuro dove stare Ma poi pian piano sono iniziati i silenzi, l’indifferenza, l’irritabilità; la violenza non e’ visibile, si tratta di espressioni, atteggiamenti, toni di voce. Andando avanti queste “impressioni” (quelle che ti paiono espressioni ma che sono di fatto cambiamenti di atteggiamento) diventano piu’ chiare e la violenza verbale puo’ affiorare con insulti e denigrazioni. Qui hai iniziato (o stai iniziando) a fare una gran fatica cercando di evitare tutte le situazioni che possono alterare gli “equilibri”; eviti domande, osservazioni, rinunci a delle cose che possono infastidirlo, restringi il ventaglio delle iniziative e giorno dopo giorno perdi spontaneità e…una parte di te stessa. Quando la violenza esplode e’ spesso seguita dal pentimento dell’aggressore che minimizza l’accaduto, lo definisce un “momento di debolezza” oppure un momento di espressione di amore per la tanta gelosia ecc Chiede perdono e promette che non accadra’ piu’. Se la donna lo perdona, si riavvia il ciclo: dopo un periodo (piu’ o meno breve) rassicurante, di nuovo quella “luna di miele” che abbiamo visto sopra, il partner “esploderà” di nuovo e il circolo della violenza continuerà a nutrirsi fino a che la donna non ne riconosce l’intollerabilità e cerca di uscirne.

[M.L. Bonura – Che genere di violenza – Ed. Erickson]

Interrompere questo ciclo e uscire dalla violenza si può! Il primo passo è ammettere di esserne vittima. È normale avere ansie, paure e dubbi ma la colpa non è tua! L‘autonomia economica si può raggiungere, anche con l‘aiuto delle operatrici delle case rifugio (se hai bisogno di un posto dove andare).Puoi liberarti di quel senso di inadeguatezza, paura e diffidenza attraverso un percorso di autonomia e rinascita (per te ed eventualmente per i tuoi figli)Se sei vittima di violenza e vuoi fare un’autovalutazione del rischio di recidiva della violenza, puoi compilare in forma ANONIMA il questionario #ISA (Increasing Self Awareness). Questo strumento ti consentira’ di verificare se nella relazione con il tuo partner, o ex partner, ci sono indicatori di violenza e di distinguerli dai normali litigi di coppia. Lo trovi disponibile sul sito: www.cesvis.sara.org. Otterrai alla fine del questionario un profilo di rischio e le indicazioni per chiedere aiuto

Se sei, o sei stata, vittima di violenza e senti il bisogno di capirne di piu’ oppure hai voglia di raccontare la tua esperienza (in anonimato) cosi’ da poter essere di aiuto ad altre donne, invia un messaggio privato a questa pagina oppure puoi inviare una mail a: simonapierinipsicoterapeuta@gmail.com

Ti ricordo il #numero Antiviolenza 1522, attivo 24 ore su 24. Su smartphone, tablet o Pc; è possibile scaricare anche l’app 1522 per chattare con le operatrici e allontanare il timore di essere ascoltate dal partner violento.

„Il vero significato del coraggio è avere paura – e poi, con le ginocchia che tremano e il cuore che batte, fare comunque il salto“.(O. W.)

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(immagine dal web)

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#lapotenzadellenarrazioni# Milton Erickson:”Come si impara a stare in piedi”

“Sono tante le cose che impariamo a livello conscio; solo che dopo dimentichiamo quello che impariamo e ci serviamo della capacità acquisita.

Vedete. Io avevo un grandissimo vantaggio sugli altri; avevo avuto la Poliomelite ed ero totalmente paralizzato. L’infiammazione era così forte che avevo anche una paralisi sensoriale. Potevo però muovere gli occhi ed anche l’udito non era stato menomato.

A forza di stare a letto mi veniva la malinconia, impossibilitato com’ero a muovere qualsiasi cosa tranne le pupille. Me ne stavo in quarantena nella nostra fattoria, dove c’erano sette sorelle, un fratello, due genitori e un’infermiera. Come facevo a divertirmi?

Cominciai ad osservare le persone e l’ambiente, ben presto imparai che le mie sorelle potevano benissimo  dire “no” quado volevano dire “si”. Oppure potevano dire “si” e contemporaneamente intendere “no”. Poteva accadere che una sorella offrisse ad un’altra una mela e subito la ritraesse. Così cominciai a studiare il linguaggio non verbale e il linguaggio del corpo.

Avevo una sorellina piccola che aveva cominciato ad imparare a camminare carponi. Io invece, dovevo imparare a stare in piedi e a camminare. Lascio a voi immaginare con quale interesse stavo a guardare la mia sorellina che passava dal camminare a quattro zampe all’imparare a stare in piedi.

E voi non sapete come voi avete imparato a stare in piedi.

Non sapete nemmeno come facevate a camminare.

Voi potete pensare di poter camminare in linea retta per sei isolati ma non sapete che allora non riuscivate a camminare in linea retta a un passo regolare!

Voi non sapete cosa fate quando camminate. Né sapete come imparate a stare in piedi. Imparate allungando la mano e tirandovi su. Ciò comporta una pressione nelle mani, e, per puro caso, scoprite che potete mettere del peso sul piede. È una cosa tremendamente complicata, perché le ginocchia cedono, e se le ginocchia restano su dritte, cedono i fianchi.

Poi vi si incrociano i piedi. Poi non riuscite a stare in piedi perché cedono sia i ginocchi che i fianchi. Sempre con i piedi incrociati (avevate imparato ben presto ad avere un ampio punto di appoggio), vi tirate su e vi tocca imparare come tener dritte le ginocchia, una per volta, e appena imparate questo, dovete imparare a badare che i fianchi rimangano dritti.

Dopo ancora, scoprite che dovete imparare a badare che i fianchi e le ginocchia stiano dritti contemporaneamente, eppure a tenere i piedi ben divaricati!

Ora potete finalmente sostenervi coi piedi ben divaricati, e appoggiando le mani a terra.

A questo punto inizia una lezione in tre fasi.

Dapprima distribuite il peso su una mano e due piedi, mentre questa mano (E. solleva la mano sinistra) non vi sostiene per niente. Lavoro veramente difficile, che vi permette di imparare a stare in piedi dritti, fianchi dritti, ginocchia dritte, piedi divaricati, con questa mano (la destra) che preme forte.

A questo punto scoprite come cambiare la distribuzione dei pesi del corpo.

Potete alterarla girando la testa, girando il corpo.

Dovete imparare a coordinare tutte le alterazioni dell’equilibrio del corpo quando muovete una mano, la testa, la spalla, il corpo; e poi si tratta di reimparare tutto con l’altra mano.

Poi viene il lavoro terribilmente difficile di imparare a tenere su tutte e due le mani, e di muoverle in tutte le direzioni e di contare solo sulla solida base dei due piedi ben divaricati. E si tratta di tenere dritti i fianchi, le ginocchia dritte, e di badare a ginocchia, fianchi, braccio sinistro, braccio destro, testa, corpo.

E alla fine, quando avete abbastanza capacità, provate a bilanciarvi tutto su un piede.

Un lavoro di inferno!

Come avete fatto a controllare tutto il corpo, tenendo i fianchi dritti, le ginocchia dritte, e avvertendo i movimenti della mano, i movimenti della testa, i movimenti del corpo?

E poi mettete avanti un piede, alterando il centro di gravità del corpo!

Le ginocchia si piegano e vi trovate seduti!

Vi rialzate e provate daccapo. E alla fine imparate a portare un piede in avanti, e muovete un passo, e non c’è male.

Così lo ripetete, non c’è proprio male.

Allora il terzo passo (con lo stesso piede) e precipitavate! C’è voluto un bel po’ di tempo per alternare destro-sinistro, destro-sinistro, destro-sinistro.

Ora potete ondeggiare le braccia, girare la testa, guardare a destra e a sinistra, e camminare, senza più far la minima attenzione a tenere le ginocchia dritte, i fianchi dritti”

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“Il luogo sicuro”/”La casa sul fiume” #biblioterapia#

Tra le diverse tecniche di visualizzazione, troviamo la ricerca del nostro “luogo sicuro”. Spesso, durante le visualizzazioni, i pazienti tornano alla propria infanzia, a quei luoghi rassicuranti e ricchi di ricordi e significati.

Durante lo svolgimento della visualizzazione, si ripercorrono suoni, odori, colori e sensazioni corporee. Si tratta di visualizzare e riscoprire un luogo che può essere un rifugio sicuro ogni qualvolta ne sentiamo il bisogno (quando abbiamo paura, quando siamo stressati…)

Il luogo sicuro è un posto unico, che vive nella nostra mente e nei nostri ricordi e come tale abbiamo sempre la possibilità di ritrovarlo.

Nel racconto di Lena Manta – autrice greca di straordinari romanzi di narrativa femminile – questo luogo sicuro vive nella mente di tutte le donne/sorelle protagoniste del romanzo. Un luogo dove tornare, non solo fisicamente, quando la vita diventa brutale attraverso il ricordo delle parole di Teodora:

“se un giorno non riuscirai a resistere alle tentazioni, ricordati che qui, in questo angolo di mondo, troverai sempre il fiume ad aspettarti, pronto ad accoglierti nelle sue acque per purificarti”

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Amore, libertà e dipendenza affettiva

Perchè sono dipendente dal partner? Perchè ho bisogno “dell’altro” per sentirmi amato/a? Perchè consumo tante energie alla ricerca dell’accettazione dell’altro?

Le risposte a queste domande derivano sicuramente da lontano, dagli stili di attaccamento che abbiamo sperimentato nell’età evolutiva; la terapia strategica integrata tuttavia, una volta compresa l’origine di questi meccanismi, focalizza l’attenzione sul “qui e ora”.

In terapia si interviene sul circolo vizioso di cui ci si sente vittima, dove più mi impegno a cercare di essere “bravo” e “adeguato” per l’altro, meno mi sento amato.

Il bisogno di accettazione da parte dell’altro è un tentativo di riempire un vuoto che andrebbe colmato amando se stessi, dandosi la libertà di scegliere realmente l’altro (per quel che è e non per quel che riesce a colmare in noi).

La terapia punta su questi aspetti: sulla capacità di riconoscere le proprie emozioni e imparare a prendersi cura di se stessi.

Come scriveva Jung C.G. ne “IL LIbro Rosso”:

“Comincia sempre da te; in tutte le cose e soprattutto con l’amore.
Amore è portare e sopportare sè stessi. La cosa comincia così. 
Si tratta veramente di te; tu non hai ancora finito di ardere; 
devono arrivarti ancora altri fuochi finché tu non abbia accettato la tua solitudine e imparato ad amare.”

 

[immagine dal web]